domenica 3 novembre 2013

Italia vs Inghilterra

Andare per un periodo, sia pur breve, all'estero fa sempre bene. Prima di tutto, perché si esce dalla cappa di conformismo che grava sulla vita pubblica (e privata) del nostro paese; poi perché, pur nella totale assenza di una classe dirigente (che in Italia è, piuttosto, per dirla alla Sciascia, "classe digerente"), qualcosa di buono da noi, comunque, sopravvive.

Sono stato otto giorni in Inghilterra, precisamente a Birmingham. Ho raggiunto mia moglie, che si trova per un periodo di lavoro alla Medical School della locale università. Mia moglie non è un "cervello in fuga": è solo momentaneamente all'estero, per imparare una nuova tecnica che, poi, dovrà trasporre nel laboratorio dove lavora, al reparto di endocrinologia dell'ospedale di Ferrara. La prima cosa che l'ha sorpresa è come fin da subito l'abbiano messa alla pari del personale che da sempre lavora all'università: il badge di riconoscimento, l'accesso alla mensa e tutte quelle piccole cose che, in Italia, sono precluse ad un assegnista di ricerca precario e, quindi, non sindacalizzato. Inoltre, cosa ancor più sorprendente, il fatto che tra il responsabile del laboratorio e i suoi collaboratori non ci sia quel distacco quasi religioso che le nostrane baronìe universitarie impongono, quasi che il Barone sia un'entità inarrivabile, a metà strada tra il Dio punitore e vendicativo dell'Antico Testamento ed il megadirettoregalattico di fantozziana memoria. Ovvio che lavorare in un ambiente in cui le decisioni sull'organizzazione vengono il più possibile condivise e non imposte, sia più stimolante. E questo vale per qualsiasi ambiente di lavoro. Non può stupire, quindi, che i dati sulla cosiddetta "fuga dei cervelli" dal nostro paese, al netto della retorica che anche su questo argomento è, comunque, tanta, siano così drammatici: un lavoratore specializzato, all'estero ha maggiori possibilità di essere apprezzato e valorizzato per quello che sa fare e di raggiungere, presto, posizioni di responsabilità; laddove in Italia, se non è interno a quella classe digerente di cui sopra, avrà, al massimo la prospettiva di vivere precario per tutta la vita, se non di finire a fare il commesso di supermercato.

Birmingham è una città industriale delle midlands inglesi. Meglio, era: perché dopo il processo di de-industrializzazione avviato in epoca tatcheriana, oggi l'economia locale si basa decisamente sul terziario. La caratteristica principale del paesaggio della periferia cittadina sono le fabbriche abbandonate e i grandi supermercati, panorama diventato ormai familiare anche nelle nostre città. Birmingham non è così squallida com le guide turistiche vorrebbero far credere; anzi, la presenza di tanti canali (c'è chi dice, esagerando, che ce ne siano più che a Venezia) la fa somigliare un po' a Milano e ai suoi navigli, con locali carini frequentati da tanta gente fino a tarda ora.

Un altro esempio della trasformazione economica subita dall'Inghilterra è il porto di Liverpool. Un tempo era il maggior porto d'Inghilterra, secondo solo a quello di Londra; oggi ha seguito l'evoluzione propria di molte aree portuali, come, per esempio, Genova: i docks sono stati trasformati, in gran parte, in centri commerciali o loft di lusso, all'interno dei quali è sorto anche il museo dei Beatles. Sono proprio i Beatles e la scena musicale che si è creata attorno a loro l'attrazione principale di Liverpool: il Cavern Club, il primo locale in cui si esibirono, è rimasto uguale a cinquant'anni fa e si può entrare a visitarlo oppure sedersi a bere una birra, mentre sul palco le band locali si esibiscono fino a notte fonda. 


Bisogna girare queste città "secondarie" per avere un'idea più precisa di cosa sia l'Inghilterra oggi: un paese dove la deregulation degli anni '80 ha trasformato radicalmente l'economia, indebolendo la middle- class produttiva, a favore di una classe sociale arricchitasi oltre misura in seguito alla finanziarizzazione dell'economia e alla sua indiscriminata apertura agli investimenti esteri. Uno "Stato- Pilota" l'Inghilterra, che ha anticipato le politiche economiche ultra liberiste che oggi stanno mettendo in ginocchio le classi medie di mezza Europa. 

Londra non è rappresentativa dell'Inghilterra, come New York non lo è degli Stati Uniti. E' una città stereotipata, che sembra essersi trasformata in modo tale da soddisfare i gusti dei milioni di turisti stranieri che ogni giorno vengono a visitarla da tutto il mondo. Così, alla stazione di King's Cross puoi trovare il binario nove e tre quarti di Harry Potter, con il relativo store (tutto, infatti, è in vendita a Londra).  In questo modo, però, si è venduta l'anima, perdendo qualsiasi carattere proprio.

Una cosa che mi ha colpito, in particolare, dell'Inghilterra, sono le stazioni dei treni. In Italia, dopo le 22, diventano una terra di nessuno dove è poco raccomandabile sostare; in Inghilterra, invece, sono posti vivi e vivaci a tutte le ore del giorno e della notte. Sono vissute in maniera completamente diversa che da noi, non come semplici luoghi di passaggio, ma come spazi d'incontro, dove ci si può fermare in un locale per cena o far la spesa in un supermercato in attesa di prendere il proprio treno, o anche se non si ha un treno da prendere.

Il venerdì sera è sacro per gli inglesi. L'elettricità si sente nell'aria già dal primo pomeriggio. Durante la settimana, chi lavora o studia non si concede distrazioni, a parte, ogni tanto, la partita di coppa al pub il martedì o il mercoledì. Il venerdì sera, però, gli inglesi di tutte le età e classi sociali sono presi come da una frenesia particolare. Mi è capitato di vedere, un venerdì, sul treno da Birmingham a Londra delle 18.30, un gruppo di impiegati scolarsi non meno di sei birre a testa diventando simpaticamente molesti. 

La società inglese mi è sembrata particolarmente repressa, sotto una cappa di divieti e di norme di comportamento: allo stadio, oppure nei locali pubblici, che chiudono alle 23 e smettono di servire cibo alle 21.30 (n.b: se vi trovate in un locale e vedete che, all'improvviso, si accendono tutte le luci, vuol dire che vi dovete rapidamente togliere di torno). E' possibile che questo controllo assoluto e invasivo sulla vita e sul tempo libero delle persone abbia avuto come pretesto la repressione del fenomeno hooligan degli anni '80. Il tifo da stadio, infatti, in quegli anni è stato oggetto di leggi estremamente coercitive, in particolare dopo le stragi dell'Heysel e di Hillsboroug (benché quest'ultima sia stata determinata da una gestione inadeguata dell'ordine pubblico da parte della polizia). Lo stadio era un canale per così dire "istituzionale" in cui incanalare l'aggressività e la violenza. Oggi, invece, gli stadi inglesi sono asettici, tutti i posti sono a sedere e regna un ordine sorprendente (del resto, il primo che si azzarda a fare qualcosa di non consentito o va in galera o non può più mettere piede allo stadio per l'eternità). Ma, compressa in questo modo, la naturale aggressività umana finisce per esplodere in maniera ancor più violenta ed incontrollata (vedi i riots dell'agosto 2011). 

In definitiva, l'Inghilterra è il modello di società e di economia verso il quale siamo destinati ad omologarci. Ma è un particolare impasto, dove accanto alla modernità più spinta, sopravvive un rispetto sacrale e un po' stucchevole della tradizione. Noi le nostre tradizioni le abbiamo rinnegate, conservando solo le peggiori. Eppure, quel po' di estroversione, di indolenza e di calore latini, che sono gli aspetti migliori del nostro carattere, non sono ancora del tutto scomparsi e sono l'unica cosa che ci può ancora permettere di sopravvivere.