sabato 11 agosto 2012

Tre mesi dopo

Ho aspettato un po' di tempo prima di tornare a Finale Emilia. I trenta chilometri che la separano da Ferrara e che, prima del terremoto, avevo percorso spesso con la mia bicicletta, sembravano diventati cinquanta, cento, mille.
Avevo sofferto nel vedere alla tv la rocca estense sventrata, al pari degli altri edifici storici che costellano la campagna tra Ferrara e Modena. Per pudore me ne ero tenuto lontano, non sopportando i tanti "turisti"che, come sciacalli, dopo appena una settimana dalla scossa del 20 maggio erano andati a raccattare qualche souvenir di dolore altrui.
Alla fine, però, la curiosità del vecchio cronista e la volontà di documentare la situazione dopo un ragionevole lasso di tempo, hanno avuto il sopravvento. Chissà se dopo tre mesi Finale aveva ripreso a vivere. Così, ho preso la bici e di buon mattino son partito. Ho pensato che, a pochi giorni da ferragosto, la città fosse svuotata e la mia presenza potesse passare inosservata.

Ai piedi dell'argine destro del Panaro, a tre chilometri da Bondeno, arrivo a Santa Bianca, un minuscolo paesino con una fontanella d'acqua fresca. Proprio quello che ci vuole col caldo che fa. Su una panchina, due anziani osservano la loro chiesa: il campanile è venuto giù e un paio di crepe sulla facciata fanno pensare che non riaprirà più. La piccola croce piazzata all'ingresso è spezzata e il Cristo tiene le braccia sospese nel vuoto, quasi in segno di resa. Oltre ai poveri operai morti e ai danni al tessuto produttivo della regione, le due scosse del 20 e del 29 maggio scorso hanno colpito i simboli di queste piccole comunità. Questa è una zona di piccoli e piccolissimi centri abitati, raccolti attorno a chiese seicentesche, pievi romaniche e rocche rinascimentali. E' come se la Natura si fosse accanita con ciò che più dà senso alla vita delle persone.

Da Santa Bianca, mancano poco meno di dieci chilometri a Finale Emilia. Un anticipo di quello che mi aspetta è dato da alcuni vecchi fienili di campagna crollati. Alcune famiglie hanno piazzato delle roulotte nei cortili, evidentemente non si fidano ancora di passare la notte nelle loro case.

Arrivo a Finale. Subito mi si presenta alla vista una delle principali chiese del paese, gravemente danneggiata. In un campetto vicino è allestita una grande tenda, dove i fedeli si radunano per seguire la messa. Nel parco col monumento ai caduti, appena prima dello stradone che porta in centro, sono piazzate alcune tende da campeggio. Sono vuote, immagino siano servite da primo ricovero per alcune famiglie nell'immediata emergenza. Adesso sono solo un lugubre annuncio di quello che mi aspetta. 
Il centro storico, la zona rossa, è completamente transennata. La gente passa silenziosa lungo i "vialetti"  della nuova viabilità creata da transenne e nastri bianchi e rossi che segnalano il pericolo. In una via stretta, i vigili del fuoco lavorano issati sopra una gru: evidentemente stanno puntellando un palazzo. Mi avvicino alla Rocca Estense. In lontananza scorgo un mucchio di macerie. La Rocca non c'è più, l'intero perimetro è transennato; un ordinanza del sindaco dell'8 giugno scorso vieta l'accesso. Stesso discorso vale per la torre dell'orologio, diventata il simbolo del disastro. Qualcuno ha affisso alle transenne una commovente preghiera: "Grazie Torre che hai solo sfiorato le nostre case...Ti chiediamo un favore grandissimo. Lasciaci passare e lasciaci lavorare e appena saremo tutti ripartiti e ritornati alle nostre case, faremo di tutto per rimetterti in piedi più forte e più bella di prima. Arrivederci Torre". 




Purtroppo sembra che anche al terremoto dell'Emilia si stia riproponendo il "Modello L'Aquila", dove, a tre anni dal disastro, la zona rossa è ancora in macerie. Come se una superiore volontà burocratica impedisse di far partire i lavori della ricostruzione, favorendo la lenta morte delle comunità. E la situazione è destinata a peggiorare quando arriverà l'inverno. Ma l'Italia del 2012 è alla canna del gas e pare rassegnata ad andare in pezzi, senza avere nemmeno la forza di recuperare intere porzioni di territorio.

Me ne riparto triste e con un po' di vergogna addosso. Mi sembra di aver mancato di rispetto ai finalesi che, chissà, forse perché ormai abituaticisi, non hanno avuto nemmeno la forza di mandare a quel paese quel tizio in tuta da ciclista che si aggirava tra le macerie facendo foto. Chiedo scusa se a qualcuno la mia presenza è parsa una mancanza di rispetto. Non era nelle mie intenzioni. 

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