martedì 14 agosto 2012

Illusioni perdute

La prima cosa che viene in mente, terminata la lettura di questo capolavoro di Balzac, è: "Ma perché di libri così non ne scrivono più?!".
In effetti, le Illusioni perdute, oltre ad essere, tecnicamente, un romanzo di formazione, è l'affresco di un mondo, quello del Potere, che già era marcio all'epoca in cui scriveva Balzac (siamo nella prima metà del XIX secolo) e che, col tempo, non ha fatto altro che peggiorare. 
Le Illusioni perdute è, anche, un grande classico del giornalismo, descritto per quello che è realmente: parte integrante, forse addirittura fondante, di quel sistema di potere corrotto. Il Potere, infatti, teme e blandisce il giornalismo più di ogni altra cosa. Ma non perché questo sia, come retoricamente viene definito, il suo "Cane da guardia". Quanto, piuttosto, perché il giornalismo può fare e disfare, a seconda delle convenienze, carriere politiche, governi, ricchezze. Non è un caso se i grandi potentati economici si assicurano, prima di tutto, la proprietà di grandi giornali.
Tutto questo Balzac lo diceva già nel 1843. Dopo di lui sono arrivati, tra gli altri, Maupassant (Bel Ami), Orson Welles (Citizen Keane), Billy Wilder (L'asso nella manica e Prima Pagina).

Il libro è lungo e inizialmente un po' ostico. Man mano che si va avanti nella lettura, però, diventa appassionante, proprio per la sua straordinaria modernità. Non proprio una lettura da ombrellone, ma uno sforzo che, prima o poi, bisogna fare.



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