lunedì 26 dicembre 2011

Post-it

Parlando con un amico che lavora come ingegnere in Svizzera, mi viene da fare qualche considerazione in libertà sull'organizzazione del lavoro in Italia.


Ad esempio, l'amico mi diceva che, appena assunto, ha potuto cominciare a prendersi ferie, perché in Svizzera è previsto che vengano immediatamente anticipate al lavoratore, non che questi debba aspettare di maturarne un tot al mese. Mi raccontava, anche, di come l'azienda, una multinazionale di proprietà cinese che si occupa di progettazione in tutto il mondo, l'abbia sottoposto a corsi interni di lingue , con relativi test finali.


Questo non per dire che in Svizzera sia tutto rose e fiori. Soltanto di come venga diversamente considerato il lavoratore, come "capitale umano" (espressione orribile, ma tanto per intendersi...) su cui investire in prospettiva, anche senza un guadagno immediato. E, perciò, formazione continua per accrescerne la professionalità, orari di lavoro certi e non aleatori come in Italia, creazione di un ambiente di lavoro il più possibile accettabile.


Da noi la situazione è diversa. In Italia le aziende hanno sempre pensato che il modo migliore per trarre profitti fosse di ridurre il più possibile il costo del lavoro. Stipendi bassi equivale, nella generalità dei casi, a bassa professionalità della manodopera, totale disinteresse dell'azienda per la formazione dei propri dipendenti, sfruttamento del lavoro per trarne un beneficio immediato.


Non sono estranee a questo modo di pensare dei nostri "capitani di industria" le scelte di politica industriale fatte dal dopoguerra ad oggi. Si è privilegiato il fiorire disordinato di una piccola industria, magari capace di aggredire i mercati mondiali di nicchia con prodotti competitivi, ma non di indirizzare lo sviluppo economico e sociale del Paese. Si è scelto il modello del "distretto" (della calzatura, della ceramica, del mobile, ecc.), ma si è rinunciato ad essere competitivi in settori come la chimica, l'aeronautica, la tecnologia di precisione, ecc. Tutti settori ad alta intensità di conoscenza, che, in stretto contatto con il mondo della ricerca, avrebbero potuto creare posti di lavoro di alta qualità.


L'unica grande industria manifatturiera italiana è stata la Fiat, cresciuta sulla base di un modello assistenzialista da industria parastatale, con tutte le inefficienze che sappiamo. E pure la Fiat se ne sta andando.














domenica 4 dicembre 2011

I love you Default

C'è chi ha paura per i propri soldi in banca, chi dice che la crisi può essere un'opportunità.

Per me, l'unica speranza che ci rimane è il default: che da un giorno all'altro gli Stati, almeno quelli ad economia capitalista dell'Occidente industrializzato, dichiarino bancarotta; che non siano più in grado di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici né le pensioni o ogni altra forma di sussidio. Che le loro banche falliscano e che la loro moneta non abbia più alcun valore.

Che cosa succederebbe allora? Probabilmente sarebbe il caos, e da questo caos potrebbero emergere nuove forme di totalitarismo, com'è stato in Germania dopo Weimar o in Russia dopo la prima guerra mondiale. Niente di più probabile: purtroppo, l'uomo, si sa, è un animale da branco, ama essere guidato da qualcuno, sia esso un Dittatore o un Presidente "democraticamente" eletto.

Ma sforziamoci di avere un pò di fiducia nel genere umano, al quale, volenti o nolenti, apparteniamo. Immaginiamo da domani di non poter più contare sul nostro stipendio, che il nostro lavoro non esista più semplicemente perché non ha più ragione di essere in una società in cui non ci sia più il denaro per acquistare beni o servizi. Che gli Stati come organizzazione sociale scompaiano, che gli uomini siano costretti a contare solamente sulle proprie forze.

Inevitabilmente, una parte dell'umanità non ce la farebbe. Sopravviverebbero soltanto coloro ai quali la Natura ha dato talento, forza, energia superiori agli altri uomini. Scomparirebbero i più deboli, quelli che oggi sono tenuti in vita da quel sistema di welafare state che inevitabilmente sta esplodendo. Ma anche coloro che vivono soltanto in ragione di privilegi dettati dalle finzioni sociali su cui si fonda la società borghese (ricchezza, posizione sociale. ecc.), dovrebbero giocarsi le loro carte nella lotta per la sopravvivenza. Sarebbe un mondo più duro, ma sicuramente più onesto.

Probabilmente, dopo un iniziale fase hobbesiana da homo homini lupus, l'Uomo capirebbe di non poter sopravvivere se non stabilendo legami comunitari di vicinanza coi propri simili. E' sempre stato così nella storia, se si eccettua la nostra epoca di individualismo consumistico.

Da qui potrebbero nascere piccole comunità autosufficienti, al cui interno realizzare la divisione dei compiti tra i membri della stessa comunità e ai migliori tra essi assegnare le funzioni di organizzazione e di indirizzo della vita comunitaria. Ma senza creare una nuova casta di privilegiati: si tratterebbe sempre di persone che, attese le funzioni, per così dire, amministrative del Gruppo, tornerebbero a svolgere le normali mansioni loro assegnate.

Sarebbe, questo, un nuovo modello sociale, fondato su piccole comunità omogenee. Più a misura d'uomo. Dove ognuno lavorerebbe per soddisfare le proprie esigenze primarie e poi il resto è vita. Non come oggi, che siamo costretti a lavorare per mantenere in piedi un modello sociale fondato sulla crescita continua e senza freni, che ci impone di lavorare per consumare indebitandoci, in un circolo vizioso che non ha mai fine.

Per realizzare questo ci vuole un evento traumatico, altrimenti i padroni del vapore, quelli che ci hanno imposto questo modello di sviluppo, non molleranno mai la presa. Per questo io non faccio il tifo per la crisi che, come vediamo, sembra risolversi soltanto in nuove forme di schiavitù imposteci da "Lor Signori" (a quanto pare vogliono mandarci in fabbrica o in ufficio finchè non crepiamo). Io spero nel Default.






















sabato 26 novembre 2011

Sul consumo energetico

Tornando ad un tema sempre attuale, ripropostosi dopo la manifestazione di Adria contro la riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle, e cioè quello dei consumi energetici, dei modi come ridurli, del passaggio ad energie più pulite, riporto una riflessione intelligente sul consumo di energia elettrica dovuto all'uso e all'abuso dei climatizzatori, scritta da un amico nel luglio di un anno fa, in piena estate canicolare. Ma il discorso di Piero si estende alla nuova "moda" dei pannelli solari e al mito delle energie pulite e prefigura un futuro inquietante, dove non esiste più la campagna come rifugio, ma solo una lunga e politicamente corretta distesa di pannelli in silicio.




Climatizzatori e megawatt di Pierangelo Pavani




Fa caldo, terribilmente caldo. Chi non ce l’ha, lo cerca, lo compra, lo installa, e chi ce l’ha, lo usa e lo benedice come fosse un oggetto di culto. Quella scatola rettangolare bianca, che ci permette di dormire e di respirare meglio, che salva gli anziani e ristora le famiglie, purtroppo consuma. Ma il nostro fortissimo spirito ecologico ci porta a comprare solo ed eclusivamente quelli in classe A, due A, dieci A, quindi ci sentiamo meno in colpa se lo accendiamo, ma solo per il costo finale in bolletta. D’altronde, se l’enel e simili stanno scoppiando perchè riescono a malapena a fornire tutta l’energia che gli italiani in questi giorni stanno succhiando alle centrali, un poco di colpa ce l’abbiamo.
Solo qualche grado fa, non lo maledicevamo di certo, il sole. Migliaia e migliaia di metri quadrati di pannelli solari sono stati installati in Italia, complice il favorevole conto energia e forse qualche velata bugia sugli eventuali incassi derivanti dalla vendita di “sole”.
Solo una raccomandazione: installateli sempre al suolo. Coprirete di pannelli neri e bluastri il vostro verde, per anni e anni interi. Quando uscirete per fare una passeggiata, forse potrete fermarvi ancora all’ombra di un albero, in campagna, ma sarete accecati dalla luce rifllessa dagli orridi pannelli, e storditi dal calore che gli stessi vi restituiranno. Allora potrete scappare e rifugiarvi nelle vostre fresche case, dove un mostruoso condizionatore in classe AAAAA vi terrà vivi, facendovi respirare, senza magari alcun rimorso, perchè la vostra opera ecologica l’avete fatta: avete scelto l’energia pulita, ricoprendo tutto con il silicio. E avrete un notevole risparmio in bolletta, invece di qualche megawatt, per sopravvivere avrete risparmiato forse 15 euro l’anno. D’altronde l’aria pulita e asettica del condizionatore è sempre e sicuramente meglio della torrida e magari profumata aria di campagna, vero?
Fate attenzione, le scelte di oggi che magari ritenete corrette, influenzeranno per sempre la vita futura vostra e di chi rimane. Nulla in contrario alle energie pulite, anzi: ricordatevi però che devono essere pulite e rispettose per l’ambiente, e non inquinarlo in modo piu pesante di quello che non sia già oggi. Chilometri di specchi a ricoprirlo non equivale di certo a rispettarlo. Consumiamo meno intanto, se ci riusciamo.

venerdì 25 novembre 2011

Storie dal Paese degli Acchiappacitrulli

E. si becca una comune influenza e deve stare a casa dal lavoro. Il medico invia il certificato all'Inps, lui lo fa avere al datore di lavoro e se ne resta a casa per due giorni.
Il terzo giorno, sentendosi meglio, decide di tornare al lavoro. Una pila di pratiche, sicuramente ingrossatasi in sua assenza, lo aspetta sulla scrivania; qualche scrupolo per la povera collega abbandonata alla mercé del pubblico beota e, particolare non trascurabile, due maroni così a starsene chiuso in casa.
A questo punto, il panico sul posto di lavoro: "Ma cosa ci fai qui, non dovevi stare a casa fino a lunedì, adesso come facciamo se ti mandano la visita fiscale!?", gli fa il capo. Lui, un po' sorpreso, intrecciando i diti come Fantozzi, abbozza una risposta "Scusa, ma non dovresti essere tu a mandarmi la visita fiscale?". La collega rincara la dose, non ricambiando lo scrupolo che lui si era fatto per lei: "Ma va là vai a casa, che ci sei venuto a fare qua?". Intanto il Capo sta studiando la situazione: "Telefona al tuo medico, digli che dichiari all'Inps di aver sbagliato la data: ha scritto 5 anziché 4.....no aspetta, adesso sento dalla sede centrale...Pronto sede centrale, c'è qui un debosciato che s'è presentato al lavoro prima del termine della malattia, che faccio?" "Aho, che mme frega ammé", risponde la sede centrale...."Adesso chiamo l'Inps e chiedo a loro....pronto Inps, che faccio con un dipendente che doveva tornare lunedì ma è tornato oggi?". "Caso interessante- risponde aggrottando le sopracciglia l'Inps- In effetti non si era mai sentito. Io direi che Lei potrebbe farci due righe in cui dichiara che il lavoratore si è presentato oggi, anticipando il rientro....si....bhè.....cazzo se sono intelligente!". "Ok adesso mando il fax grazie...Allora E., ho risolto: adesso mando un fax all'Inps in cui dico che sei tornato oggi. Hai visto che abbiamo trovato una soluzione? Però non farlo più, mi raccomando!".
E. tira un sospiro di sollievo e, dopo due ore passate in ufficio clandestinamente, timbra con soddisfazione il cartellino.
Stanco, ma gratificato, la sera torna a casa e cosa trova nella buchetta delle lettere? Sorpresa!!! "Lei è risultato assente al controllo domiciliare del 25/11/2011. La invitiamo a presentarsi, con tutta la documentazione sanitaria in suo possesso, a visita di controllo medico- legale presso Inps- Ufficio Sanitario.....alle ore 12 del giorno 28/11/2011".

sabato 12 novembre 2011

Adria, 29-10-2011.






Si è svolta ad Adria (Ro), il 29 ottobre scorso, la manifestazione contro la conversione a carbone della centrale termoelettrica Enel di Porto Tolle. Non c'è stata una gran partecipazione popolare, sicuramente molto al di sotto delle attese degli organizzatori. In compenso, c'erano un gran numero di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa, pronti a sventare la minaccia dei pericolosi black block no coke, scesi nel polesine per mettere a ferro e a fuoco la tranquilla Adria. I negozi del centro erano in gran parte chiusi: evidentemente i media locali avevano fatto un bel po' di terrorismo psicolgico, sull'onda di quanto accaduto a Roma quindici giorni prima.
A guidare la protesta, vari comitati locali a difesa del meraviglioso territorio deltizio, a cui si sono aggiunte numerose associazioni e partiti politici. Era presente anche lo sconosciuto presidente della Federazione dei Verdi, Angelo Bonelli, a cui una manifestante ha gridato "Sei una merda!". Non deve essergli parso vero di essere riconosciuto da qualcuno....

La centrale Enel di Porto Tolle si trova nel Parco del Delta del Po, zona dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco. Da sempre al centro di polemiche per le emissioni inquinanti, la centrale è oggetto di un progetto di riconversione ad alimentazione a carbone, contestato dagli ambientalisti, che lo ritengono una fonte energetica ad alto impatto inquinante per un ecosistema delicato come quello del Delta e per la salute pubblica. Il 29 luglio 2009 il Ministero dell'Ambiente aveva dato parere positivo alla compatibilità ambientale del progetto di riconversione. Nel maggio di quest'anno, invece, il Consiglio di Stato ha depositato una sentenza che annulla il decreto di valutazione di impatto ambientale del Ministero, in quanto non preceduto dall'obbligatoria comparazione tra le possibili alternative. In particolare, le associazioni ricorrenti (Wwf, Greenpeace, Italia Nostra e altre), ritengono che la trasformazione a gas dell'impianto di Porto Tolle sia una strada praticabile e meno inquinante.

Il fatto è che il progetto di riconversione prevede un investimento da parte di Enel di 2 miliardi e mezzo di euro, con una forte ricaduta occupazionale per un territorio "depresso" come il polesine, dove di lavoro ce n'è sempre stato poco, ancor meno oggi in tempo di crisi. Per questo, dopo la pronuncia del Consiglio di Stato, i sindacati sono scesi in piazza per protestare.

E' il solito ricatto. Si tratta di bilanciare due interessi da sempre contrapposti: quello della produzione e del profitto, che promette di creare benessere materiale sotto forma di posti di lavoro, a patto di chiudere un occhio su come questo benessere lo si crea; e quello alla salute pubblica e alla tutela del patrimonio ambientale. La storia dello Sviluppo, almeno così come lo abbiamo conosciuto in Italia, ci insegna che è sempre stato il primo a prevalere.

Per carità, le aspettative degli abitanti di Adria, di Porto Tolle e del Polesine ad un posto di lavoro e a migliorare le proprie condizioni materiali e i propri progetti di vita, sono legittime. Quello che mi chiedo, però, è per quanto tempo ancora potremo continuare a violentare l'Ambiente, prima di ridurlo ad un deserto apocalittico stile Mad Max. Quanto tempo deve passare e quanti altri "disastri naturali", come quelli che si susseguono con sempre maggiore frequenza, prima che ci decidiamo a modificare i nostri stili di vita e a ridurre i nostri consumi. Se facessimo un uso meno smodato di energia elettrica, probabilmente non ci sarebbe bisogno di mega centrali come quella di Porto Tolle e il dibattito carbone si- carbone no manco si porrebbe.
Sarà ingenuo, ma come mi ha detto un amico, durante una delle nostre frequenti escursioni nel Delta del Po, discutendo del problema della centrale, "Forse se accettassimo di essere un po' più poveri, saremmo anche più in pace con noi stessi".

lunedì 24 ottobre 2011

C'è chi c'ha il think tank.......

Qualche sera fa, ad una cena tra colleghi ed ex colleghi, un tipo molto incravattato, nonchè notorio fumatore di pipa rigorosamente in radica, mi ha proposto di far parte di un think tank, insieme agli altri commensali presenti.
Da persona ingenua e provinciale quale sono, ho risposto, non senza imbarazzo, "No grazie, io sono uno all'antica, certe cose non le faccio, e poi sono già sposato...", pensando che si trattasse di chissà quale pratica sadomaso.
Giorni dopo, rimuginando sulla mia solita figuraccia, ho approfondito l'argomento e ho scoperto che i think tank non sono dei gruppi per scambisti, ma sono, letteralmente, dei "serbatoi di pensiero", istituzioni nate nel mondo anglosassone, e in particolare negli Stati Uniti, per elaborare politiche pubbliche nei più svariati campi: dall'economia, al welfare, alla scienza, alla tecnologia. Furono i think tank neoconservatori vicini all'amministrazione di George W. Bush ad elaborare la teoria della Guerra Preventiva.
A noi italiani piace fare gli americani e pure noi c'abbiamo i nostri think tank: D'alema ha la fondazione Italianieuropei, Fini Fare Futuro, Montezemolo Italia Futura e sono sicuro che persino Scilipoti c'avrà il suo laboratorio di idee da strapaese.
Ora, basterebbe guardarmi in faccia per capire che chiedere a me di far parte di uno di questi pensatoi per giovani incravattati è una cazzata: primo, perché la cravatta non l'ho mai messa; secondo, perché ho sempre avuto poche idee e piuttosto confuse; terzo, perché per pensare non mi serve ritrovarmi tra persone noiose e sapute, mi basta sedere sulla tazza del cesso.

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/27-gennaio-2010/cina-think-tank.shtml?uuid=3eb24252-0b11-11df-8e59-6b66dae07f89&DocRulesView=Libero

domenica 16 ottobre 2011

Genova G8 - Blu notte (4 di 14)

Due cose sul 15 ottobre

Due brevi considerazioni su quanto accaduto ieri a Roma:

1) il frequente verificarsi di incidenti in manifestazioni di questo tipo, è dovuto al fatto che sono organizzate da Movimenti estemporanei, frammentati, disorganizzati, che non sono strutturalmente in grado di esprimere un loro servizio d'ordine. Anzi, spesso, a esaltare ancor di più il loro carattere di movimenti spontanei, rifiutano l'idea stessa di servizio d'ordine.
Da foto scattate da chi era ieri a Roma, si nota con tutta evidenza come questi "casseur" fossero tranquillamente mescolati alla gente che manifestava pacificamente. In una di quelle vecchie manifestazioni sindacali o di partito, tramandateci attraverso immagini color seppia, questo non sarebbe mai successo;

2) dice: "questi black bloc sono funzionali al Sistema, magari in mezzo ci sono poliziotti infiltrati". E perché questo casino è successo solo a Roma e non nel resto del mondo, forse che altrove il Potere è più democratico?
Secondo me, pensare ad una regia dietro gli scontri di ieri è fare un complimento al nostro Governo, farlo più intelligente di quello che è.
Il non aver impedito ai black bloc di devastare Roma è dovuto all'incapacità dei comandi della Polizia, esattamente come a Genova nel 2001.

sabato 15 ottobre 2011

La Religiosità di Ermanno

Aveva giurato che avrebbe smesso, ma per fortuna c'ha ripensato.

Ermanno Olmi è uscito col suo ultimo film, "Il Villaggio di Cartone", presentato fuori concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia. In questa prima parte di stagione cinematografica, è il terzo film sul tema dell'immigrazione, clandestina e non, che vedo; di sicuro è il più riuscito. Se Crialese e Patierno, coi loro "Terraferma" e "Cose dell'altro mondo", si sono fermati ad una riflessione tutto sommato superficiale, Olmi affronta l'argomento con la lucidità dell'intelletuale vero.

In una chiesetta dismessa, da cui un'impresa di traslochi ha portato via anche il Cristo crocefisso, trovano riparo un gruppo di immigrati clandestini in fuga dalla Legge, che li criminalizza solamente per il loro status personale. Difesi dal prete, che ritrova, in quest'umanità disperata, le ragioni stesse della sua Missione, riusciranno a scappare, pagandosi un viaggio verso la Francia.

Il discorso di Olmi è totalmente cristiano: la figura di Cristo è facilmente intuibile in uno dei protagonisti; la nascita di un bambino, nel gruppo degli immigrati, viene salutata dal parroco come una nuova Natività e la Pietà cristiana, contrapposta all'egoismo del Sacrestano che invita il prete a cacciare dalla Chiesa quella gente, perchè "non è come noi", viene declinata dal regista per quella che dovrebbe essere: accogliere il prossimo senza porgli troppe condizioni (rispettare le nostre leggi, scimmiottare il nostro orribile modo di vivere, impedirgli di pregare come vuole lui).

"La chiesa dovrebbe essere come una casa, che fa entrare tutti senza fare domande. Se non cominciamo ad aprire la casa agli altri, inclusa la casa dell’animo, come possiamo pensare di intenderci con il resto degli uomini?", si chiedeva Ermanno Olmi alla presentazione del suo film.

Già. Forse ci abbiamo rinunciato da un pezzo.



Il villaggio di cartone
Un film di Ermanno Olmi. Con Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, El Hadji Ibrahima Faye. Durata 87 min. - Italia 2011

venerdì 19 agosto 2011

Viaggio nella città morta due volte

Castelvetrano, agosto 2011.





Erano anni che sentivo parlare di Gibellina. "Errì......Gibellina è da vedere, ci sono passati i meglio architetti", mi ripeteva, invariabilmente, ogni estate mio cognato. E giù lunghi monologhi su questa città e la sua particolare storia. A me quel nome non diceva niente; il terremoto del Belice era una memoria ormai lontana che non avevo mai considerato, catalogata tra le tante tragedie italiane tutte sempre uguali, quando la terra trema e i sopravvissuti restano prigionieri dei conteiner, delle baracche e degli interessi di chi specula sulla loro pelle.

Poi, ho pensato che era ora di andare a fare un giro da quelle parti e così, insieme alla mia fotografa di fiducia, abbiam preso la macchina e imboccato l'autostrada Palermo- Mazara del Vallo, direzione Palermo.



Fatti pochi chilometri, prendiamo l'uscita S. Ninfa: sul cartello stradale, tra le varie indicazioni, quella "Ruderi di Gibellina". Si, perchè di Gibellina ce ne sono due: quella distrutta dal terremoto del 1968, che in tutta la valle del Belice fece circa un migliaio di morti, e quella nuova, costruita a circa 20 km di distanza dalla vecchia, la Città Ideale voluta dal senatore ed ex sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao, per tragica ironia della sorte assassinato proprio il giorno prima della nostra visita dal suo giovane domestico bengalese.

Dall'uscita dell'autostrada si prende la Statale "Asse del Belice" che, a dispetto del nome altisonante, è una delle tante "trazzere" che costituiscono la viabilità della Sicilia. La strada è praticamente deserta, nel silenzio delle pale eoliche che girano. Ad un certo punto si interrompe, a causa di una delle tante frane che segnano le strade siciliane; proprio sotto, una grande croce apre il cimitero che raccoglie i resti di coloro che persero la vita a Gibellina nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968.

Un senso d'angoscia ci prende mentre scendiamo per la trazzera che, tra la vegetazione che invade la carreggiata, ci porta alla città fantasma. Penso al dramma vissuto dalla popolazione e a come fu difficile per i soccorritori arrampicarsi fin quassù, in queste terre sconosciute al resto d'Italia. Gibellina era un paesino di contadini e pastori arrocato sul fianco di una montagna, piccole case di tufo unite l'una all'altra, viuzze strette. L'Italia del '68 aveva già vissuto il boom economico e i figli della borghesia scendevano in piazza per contestare quella società che i loro padri avevano costruito. Niente di tutto ciò aveva sfiorato questa terra che ora veniva così duramente colpita: chi poteva emigrava e ora non aveva neppure più un paese a cui ritornare.







La memoria di quello che fu Gibellina vecchia è conservata nel Cretto di Burri, un'enorme tomba di cemento che avvolge la montagna, con fenditure tra un blocco e l'altro, a riprodurre la struttura urbanistica e viaria dell'antico centro abitato. L'opera fu progettata da Alberto Burri e realizzata tra il 1984 e il 1989. Sulla vallata domina un silenzio solenne, ma camminando tra i cretti si ha come l'impressione di sentire il brusio della vita che c'era e ora non c'è più: grida, rimandi, echi, richiami. Un modo originale e commovente di rendere omaggio ai morti.

Presi ancora dalla solitudine solenne dei ruderi, ci muoviamo verso Gibellina Nuova. Sappiamo vagamente cosa ci aspetta: abbiamo sentito parlare della sua architettura metafisica. Corrao chiamò, per la ricostruzione, i grandi nomi dell'epoca (Ludovico Quaroni, Giuseppe e Alberto Samonà, Vittorio Gregotti, Gianni Pirrone, Francesco Venezia e Oswald Mathias Ungers), per edificare, in questo angolo di Sicilia, la Città Ideale. Un'architettura carica di simboli che rappresentasse la rinascita, anche culturale, di Gibellina e di tutta la valle del Belice, su basi del tutto diverse da quella che era stata fino al terremoto la tradizione ancestrale di queste terre.

Riprendiamo, quindi, la statale. Continuiamo a non incrociare altre macchine, solo un ciclista coraggioso che si arrampica per i tornanti e un contadino che torna dai campi col suo trattore. Lungo i 20 km che separano il vecchio abitato di Gibellina dal nuovo, passiamo attraverso Santa Ninfa, altro paese colpito dal sisma. L'arrivo a destinazione è segnalato dalla Stella in acciaio dello scultore Pietro Consagra, concepita “come una porta di attraversamento, un confine di apertura...per Gibellina e per il Belice tutto”. L'opera lascia senza fiato, non tanto per la sua maestosità, quanto per il senso di estraneità con i luoghi che ci circondano.

Entriamo a Gibellina Nuova e ci sembra di essere in un posto che potrebbe essere la perifieria di una città emiliana, oppure un museo di quella particolare forma d'arte che è l'Incompiuto Siciliano: da una parte, moduli abitativi tutti uguali, che si susseguono con una regolarità angosciante; dall'altro, edifici monumentali mai portati a termine, con lo scheletro di cemento armato rivolto verso il cielo.






Sembra un labirinto, non ci sono punti di riferimento. Cerchiamo il centro e ci imbattiamo nel Sistema delle Piazze, che dovrebbe rappresentare una sorta di policentrismo cittadino o, meglio, “la concatenazione di cinque grossi vuoti urbani risultanti dalla assenza di edifici abitativi al loro interno”. Peccato che l'opera non sia mai stata ultimata: a trent'anni dal progetto definitivo e a 24 dall'avvio dei lavori, mancano ancora due piazze all'appello. Quando arriviamo noi, son le 19.30, la piazza è vuota e 4 bambini fanno evoluzioni con le loro biciclette, unendo le assi di un palco improvvisato. E poi c'è il Meeting, sempre di Pietro Consagra, una struttura di acciaio, vetro e cemento, che originariamente avrebbe dovuto ospitare un museo e, invece, oggi ospita il bar forse più pacchiano d'Italia.

Camminando per le strade e per le piazze della città, la sensazione è di generale desolazione e di eccentricità rispetto ai canoni tradizionali dell'architettura siciliana, anche rispetto agli orrori delle abitazioni moderne che ormai circondano i centri storici dei paesi.

Con Gibellina Nuova è stata fatta un'operazione di "arroganza intellettuale", volendo trapiantare nel cuore della Sicilia tradizionale esperienze architettoniche che sarebbero state più adatte a capitali come Berlino, Parigi o New York, piuttosto che alla Valle del Belice.

Nello sprezzo di una popolazione che, oggi, se vuole ritrovare la sua storia, deve andare sul Cretto di Burri (dove non per nulla si è svolta la veglia funebre per il senatore Corrao), piuttosto che nelle architetture metafisiche della Città Ideale.

“Se Corrao è stato un costruttore di architetture mentali- scrive Sergio Troisi su la Repubblica del 10 agosto, in un ricordo del senatore ed ex sindaco- le fondamenta di quegli edifici intellettuali attraversano l'isola connettendola alle vastità del mondo cui è sempre stata legata, a dsipetto di ogni identità localistica, di cui infatti Corrao era avversario irriducibile”. Proprio in questo avversare l'identità locale sta il peccato originale di Gibellina nuova.

Terminiamo il nostro viaggio e riprendiamo la macchina. La carcassa di un grosso cane nero giace in mezzo ad una delle strade della città: nessuno l'ha rimossa. Ultimo e, forse, più vero simbolo di una rinascita che non c'è mai stata.



Note: citazioni tratte da "La lezione di Gibellina- La Sicilia dell'utopia esportata nel mondo", di Sergio Troisi, la Repubblica- Palermo, mercoledì 10 agosto 2011


e da http://www.regione.sicilia.it/bbccaa/darc/allegati/convenzioni/relazione_piazze_gibellina.pdf