domenica 26 agosto 2012

La Febbre dell'Oro in Sicilia

Il sole di mezzogiorno è implacabile sulle nostre teste. Io e la mia fotografa stiamo risalendo la strada provinciale 51, Comitini- Grotte, dove si trova il Museo del patrimonio superficiale delle zolfare. 
Non è stato facile arrivare fin qui. All'uscita di Aragona, sulla statale 189 Agrigento- Palermo, un'indicazione color marrone ci rimanda al Parco delle maccalube e delle zolfare. In paese, una nuova indicazione accenna soltanto al parco delle maccalube. E le zolfare dove sono finite? Dopo aver vagato per la campagna aragonese, per fortuna incontriamo delle persone del posto, che ci dicono di andare a Comitini, a circa 8 chilometri: "Arrivate in piazza: li ci sono il municipio e i vigili urbani, sicuramente ve lo sapranno dire".
Comitini è il centro più piccolo della provincia di Agrigento. Arrivati nella bella piazza, fermiamo la macchina e chiediamo a due vigilesse indicazioni per il parco delle zolfare. Sul momento restano un po' spiazzate, poi una delle due prende l'iniziativa: "Seguite l'indicazione Grotte, superate gli impianti sportivi. Li dovrebbero esserci le vecchie zolfare".
Si, perché la memoria di quella che fu una vera e propria epopea, che segnò, con alterne vicende, la Sicilia per tutto il XIX secolo e sulla quale vennero scritte pagine di grande letteratura, oggi sta scomparendo o, nel migliore dei casi, resta patrimonio di pochi.

La Febbre dell'Oro siciliano ebbe inizio ai primi dell''800, quando, in seguito alle pressioni di Inghilterra e Francia, che avevano bisogno di acido solforico per le loro industrie, i Borbone concessero l'apertura di nuove miniere di zolfo (minerale già conosciuto ed estratto dai romani, duecento secoli prima di Cristo). Da quel momento iniziò una vera e propria corsa all'accaparramento del minerale, giallo come l'oro, e la campagna siciliana venne bucherellata come una groviera. "Non si vedeva che zolfo, da per tutto, in quel paese! Lo zolfo era anche nell'aria che si respirava, e tagliava il respiro, e bruciava gli occhi- scrive Pirandello nella novella "Il Fumo"- Fra vent'anni, quelli che sarebbero venuti dopo di lui, da quel punto dello stradone, avrebbero veduto là un colle calvo, arsiccio, livido, sforacchiato dalle zolfare". Fu il primo, duro, impatto della Sicilia con l'industrializzazione e le zone più interessate da questa trasformazione dell'economia furono l'entroterra nisseno e agrigentino. Nella sola Comitini, a fine '800, si calcola che fossero attive 70 miniere, che davano lavoro a circa 10000 operai; mentre a Cianciana, altro paese dell'agrigentino, che, oggi, conta appena 2000 abitanti, all'epoca di maggior attività delle zolfare la popolazione aveva raggiunto le 20000 unità. 

Siamo nell'800, in piena epoca di pionerismo industriale, e l'attenzione alle condizioni di lavoro nelle miniere è pressoché nulla. E, infatti, i minatori sono costretti a lavorare in condizioni bestiali. La giornata di lavoro va "da suli a suli", cioè dall'alba al tramonto, dentro le miniere si lavora nudi, per combattere, come si può, il calore soffocante. Gli impianti sono fatiscenti, vuoi perché- come ci racconta Guido Piovene nel suo "Viaggio in Italia- "...i concessionari spesso sono gli stessi proprietari del terreno, gente per tradizione dedita all'agricoltura. Non industriali per carattere....avvezzi a scorgere nella miniera solo una fonte di lucro, lasciarono invariati i vecchi impianti e non pensarono a formarsi un mercato stabile...". Vuoi perché i piccoli produttori, strangolati dai proprietari e dalle tasse, non avevano la possibilità di investire nelle infrastrutture. Ancora una volta Pirandello ci viene in aiuto: "Chi erano....i produttori di zolfo? Poveri diavoli, senza il becco d'un quattrino, costretti a procacciarsi i mezzi, per coltivar la zolfara presa in affitto, dai mercanti di zolfo delle marine, che li assoggettavano ad altre usure, ad altre soperchierie. Tirati i conti, che cosa restava, dunque, ai produttori? E come avrebbero potuto dare, essi, un men tristo salario a quei disgraziati che faticavano laggiú, esposti continuamente alla morte? Guerra, dunque, odio, fame, miseria per tutti; per i produttori, per i picconieri, per quei poveri ragazzi oppressi, schiacciati da un carico superiore alle loro forze, su e giú per le gallerie e le scale della buca". Molti di questi industriali dello zolfo andarono in rovina, come lo stesso padre di Pirandello o come il Barone Ignazio Genuardi di Comitini.
Tra i minatori vi era una rigida gerarchia, al cui vertice stava il Capomastro, come il Cacciagallina di "Ciaula scopre la Luna", che dirigeva il lavoro all'interno della miniera, esercitando, spesso, un potere dispotico. Vi erano, poi, i picconieri, che a colpi di piccone estraevano lo zolfo, giù, giù fino a quelle che erano le figure più tragiche del lavoro in miniera, i cosiddetti Carusi, bambini sfruttati e costretti, proprio per le loro piccole dimensioni, a calarsi nelle anguste gallerie, le c.d. discenderìe e a risalirne carichi di minerale, che sarebbe poi andato ai calcheroni per la cottura. "Ciaula, con la lumierina a olio nella rimboccatura del sacco su la fronte, e schiacciata la nuca sotto il carico, andava su e giù per la lubrica scala sotteranea, erta, a scalini rotti, e su, su, affievolendo a mano a mano, col fiato mozzo, quel suo crocchiare a ogni scalino, quasi in un gemito strozzato, rivedeva a ogni salita la luce del sole...". Il tutto per un salario da fame: nelle miniere di Cianciana, alla fine dell'800, la paga giornaliera andava da 2 lire per un capomastro, a 35 centesimi per un caruso. Una condizione di sfruttamento che provocò, nel 1892, un'ondata di scioperi che culminò, nel 1893, col congresso minerario di Grotte, fase più alta e matura del movimento operaio e contadino dei Fasci siciliani.

All'inizio del '900, come ci dice sempre Guido Piovene, la Sicilia produceva il 95% dello zolfo mondiale; negli anni '50, solo il 2% scarso. Nel frattempo, aveva fatto irruzione sul mercato lo zolfo degli Stati Uniti, estratto in maggiori quantità e a minor prezzo, grazie all'uso di tecnologie più avanzate. La globalizzazione mise in ginocchio l'economia di un'intera regione e si portò via le tante storie di miseria, sacrifici e morte. A nulla servirono i tentativi del Fascismo prima e dell'Italia repubblicana poi, di risollevare il settore minerario siciliano attraverso politiche protezionistiche. I trattati sul mercato comune europeo chiusero definitivamente un'epoca.  


Di quella tragica epopea rimane poco. Dalla provinciale Comitini- Grotte, superata una barriera di sterpaglie, si vedono i resti solitari dei calcheroni. Proseguendo tra ulivi e rumore di cicale, oltre una piccola galleria di quella che fu la stazione ferroviaria Comitini- Zolfare, dalla quale partivano i treni carichi di minerale per Porto Empedocle, si sale sulla fiancata di una montagna, dove, monumenti di archeologia industriale, affiorano le strutture delle vecchie gallerie, in cui si calavano picconieri e carusi. Nelle gallerie si potrebbe provare a scendere ancora oggi. Non c'è lucchetto che chiuda i cancelli e questi si possono aprire con facilità. Ma il fiato si mozza alla vista dell'oscurità e viene da immaginarsi il terrore provato da quei bambini la prima volta che si calarono in queste tenebre. Tutti da piccoli abbiamo paura del buio.
Bisogna dare atto al Comune di Comitini che un tentativo di celebrare la memoria del passato industriale è stato fatto. Il Museo del patrimonio superficiale delle zolfare è provvisto di pannelli esplicativi. Ma non è colpa dei volenterosi amministratori se a visitare questi luoghi non viene nessuno. Probabilmente, appena venne istituito, il museo era provvisto di un percorso che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto guidare il visitatore  nella scoperta dei luoghi della miniera, dei procedimenti di estrazione e lavorazione del minerale, delle condizioni di lavoro. Oggi, tutto è coperto da sterpaglie, avvolto in un silenzio tombale.
Ritorniamo in paese, lungo la stessa strada che facevano al tramonto i surfatari per ritornare a Comitini. Siamo fradici di sudore e abbiamo bisogno di bere qualcosa di fresco. Il barista ci chiede se siamo turisti, stupito che qualcuno possa essere capitato da queste parti in piena estate, a pochi giorni da ferragosto, invece di andare al mare. Lo stesso punto interrogativo è stampato sulle facce delle gentilissime bibliotecarie di palazzo Bellacera, a cui chiediamo se esista qualche pubblicazione sulla storia delle miniere di Comitini. "Portali a fare un giro del palazzo", dice una delle bibliotecarie all'altra. In effetti è un bellissimo palazzo baronale del XVI secolo, collegato alla Chiesa Madre del 1650, dalla cui balaustra la famiglia dei baroni Bellacera assisteva alle messe, per evitare di mescolarsi col popolino. Al piano superiore del palazzo, è allestita una mostra sulle zolfare, ricca di foto e testimonianze, purtroppo, pochissimo visitata.

Prima di concludere il nostro viaggio, passiamo per la vicina Racalmuto, paese di zolfo. "Ce ne ricorderemo di questo pianeta", sta scritto sulla tomba di Leonardo Sciascia. Ancora un riferimento alla Memoria. Purtroppo, ironico.
http://www.irsap-agrigentum.it/miniera.htm

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